Autore: Ludovico Greco
Titolo: Piemontisi, briganti e maccaroni
In appendice: Il Risorgimento sbagliato. Intervento di Umberto Bossi
Descrizione: Volume in 8° (cm 24 x 17); 317 pagine; illustrazioni in b/n
Luogo, Editore, data: Napoli, Dick Peersson, marzo 1993
Prezzo: Euro
Disponibilità: No
Un'avvertenza in copertina spiega anzitutto che Piemontisi non è un refuso per Piemontesi ma l'ordinaria pronuncia, in molti dialetti meridionali, del nome usato per indicare i settentrionali conquistatori del regno borbonico delle due Sicilie, fossero o non fossero piemontesi.
Per briganti si intendono non solo i ladroni di strada, che pure non mancarono nella crisi degli anni immediatamente seguiti alla conquista, ma pure e meglio i "combattenti di un'armata rurale, furente e agra, sospinta dal rancore e dalla vendetta". A questa armata rurale va molta della simpatia dell'autore, Ludovico Greco, napoletano, giornalista e senatore di parte monarchica nella terza legislatura della nostra Repubblica.
Il libro è infatti percorso da una certa vena di delicata nostalgia per il bei regno (quello borbonico) andato gambe all'aria nel 1860: "Lu beddu rregnu hajutu a gammi all'aria", cita l'autore da una canzone popolare siciliana, ed esso appare tutto dedicato a dar voce alle testimonianze degli sconfitti di allora.
E' un'interpretazione meridionalista della nostra storia, e anche a riguardo della terza parola del titolo, Maccaroni, si precisa che il riferimento al "cibo essenziale dei poveri del Meridione non può non significare la realtà dei bisogni e delle necessità addirittura ancestrali delle più povere regioni d'Italia e dei loro abitanti: una realtà che non rimossero ne modificarono ne i Piemontesi, ne quelli che vennero poi a reggere le sorti dell'Italia unita".
Così inquadrato il libro nella sua chiarissima ispirazione storica e ideologica, è ora il caso di dire che il garbo, anzi la grazia dello scrittore, lo solleva al di sopra di una impostazione polemica che per essere un po' troppo facile sarebbe quanto meno discutibile su vari piani diversi. Ma la felice trovata di Ludovico Greco è stata di comporre un volume antologico ricchissimo di estratti e citazioni che se pure non sono sconosciuti agli studiosi di storia comunque costituiscono un assai apprezzabile panorama della pubblicistica dell'epoca e di quella successiva, fino ai nostri giorni: dal famoso canonico Giuseppe Butta, cappellano militare borbonico (Viaggio da Boccadifalco a Gaeta, Napoli 1875) al nostro contemporaneo inglese Denis Mack Smith (Storia d'Italia 1861-1869, Bari 1972).
Il metodo storiografico di Ludovico Greco è quello di contrapporre molto accortamente una scelta di testi che talvolta si smentiscono o più frequentemente si integrano a vicenda come sezioni di brevi capitoli, presentati con titoletti indicativi. Per esempio: "Vittorio Emanuele II: debole e rozzo"; "La Regina e il figlio di Resina"; "Era geloso di Garibaldi"; "Si tingeva i capelli". Ludovico Greco ci mette ben poco di suo, oltre ai titoli; si limita a fornire le sue brave pezze d'appoggio bibliografiche (il già citato Mack Smith, per esempio, e poi due volte il Journal di Henry d'Ideville, segretario francese di legazione a Torino nel 1859 e, finalmente, Michele Topa, Così finirono i Barboni di Napoli. Napoli 1859).
Ma il risultato è eccellente; con due pagine si da al lettore un ritratto di Vittorio Emanuele II che convalida le tesi dell'Autore. Si potrà anche osservare che il metodo è subdolo, perché la indiscutibile abilità di Ludovico Greco, giornalista capace, consente manipolazioni suggestive che conferiscono magari un'apparenza di accertata verità esauriente a quelle che in realtà sono maliziose e gustose scelte polemiche; ma Ludovico Greco non è uomo sleale, ed ha tenuto a precisare con serietà gli intendimenti della sua ampia ricerca. Egli dice difatti che il Risorgimento - anzi "l'epopea risorgimentale" secondo gli agiografi - è troppo spesso stato visto e narrato a livello scolastico e di sottocultura, secondo la versione della parte vincente: i buoni da una parte e i cattivi dall'altra. Egli pertanto si è prefisso lo scopo di far conoscere anche l'altro Risorgimento "fatto di tradimenti, di lutti, di sangue, di fango, orrore, dolore, crudeltà, ferocia". Ammette onestamente, e non si può dargli torto: "Non vi si sottrassero i piemontesi, e nemmeno i meridionali".
Respinge le vecchie qualifiche, sbrigative e contrapposte, fra galantuomini e cafoni, liberali e reazionari; si pone il quesito se i briganti fossero banditi di strada o guerriglieri, predoni spinti alla rapina ed al saccheggio o combattenti di una rivolta contadina: "Lasceremo - conclude - la parola ai protagonisti e ai testimoni dell'epoca, soprattutto della parte perdente". La parzialità è ammissibile, perché appunto al livello scolastico e di sottocultura l'agiografia ha finora privilegiato la parte vincente, e si tratta pertanto di contribuire al ristabilimento di un equilibrio. Il risultato, per dire tutto, è stimolante.
Non che difetti, nella storiografia risorgimentale di questi ultimi tempi una revisione critica di quella che Ludovico Greco chiama l'agiografia dell'epopea risorgimentale, ma non è male che giunga anche ai lettori semplicemente curiosi questa specie di brillante antologia delle testimonianze degli sconfitti. Esse danno con viva immediatezza il senso delle loro reazioni e delle loro ragioni; e il quadro della nostra storia si arricchisce di elementi che per tanti anni sono stati ignorati nelle scuole del regno unito e poi - secondo Greco, ma qui saremmo indotti a consentire meno con lui - anche della Repubblica. In ogni modo, a tutto merito dell'Autore, va riconosciuta una costante e generosa pietas nel suo ripercorrere le vicende fitte di sangue e di lacrime onde ebbe inizio la difficile nascita dello Stato unitario.