I Napoletani - Generoso PiconeAutore: Generoso Picone
Titolo: I Napoletani.
Descrizione: Volume rilegato con sovraccoperta, in formato 8° (cm 21 x 14); 267 pagine.
Luogo, Editore, data: Bari, Laterza, giugno 2005
ISBN: 8842077011
Condizioni: nuovo
Disponibilità: NO

 


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I napoletani di Generoso Picone prende le mosse dalla rivoluzione del 1799 e dal martirio di Gennaro Serra di Cassano per andare alla Napoli dei Borbone, i re che fecero conoscere alla citta' splendori e miserie.


Quindi, la Belle Époque dei poeti, dei cineasti. degli artisti e dei filosofi, gravida di promesse non raccolte. E Guglielmo Giannini, Toto', Achille Lauro, Renato Caccioppoli, i giovani letterati di «Sud», gli scugnizzi che un giorno diventarono bambini proletari e poi ragazzi del Bronx, i narratori di Napoli.

Estratto dall'articolo di Pietro Gargano su "Il Mattino" del 29 giugno 2005
Il racconto di Napoli-icona, Napoli delle troppe occasioni perdute, «stanco museo del suo passato, puntualmente sull'orlo di un'apocalisse annunciata», comincia nel caldo torrido del 20 agosto 1799, il giorno in cui al Monte di Dio il duca Luigi Serra di Cassano - udendo i tamburini battere annuncio di morte per suo figlio Gennaro - chiuse con tonfo sprezzante il portone del palazzo dirimpettaio della Reggia.
Quel portone resta chiuso.
L'avvocato Gerardo Marotta, il fondatore dell'assediato Istituto per gli Studi Filosofici, custode dell'utopia nelle stesse stanze in cui maturarono speranze e morte di Gennaro, lo tiene cosi', aspettando. Come aspettano, inconsapevoli, i senza-niente e, delusi e avvertiti, i campioni dell'intelligenza, quanti non si sono piegati alla «pericolosa ambivalenza della borghesia napoletana». Sfilano gli spettri insanguinati dei filosofi del 1799, incombente quello dell'oltraggiata Eleonora. Sfilano i Borbone, dal buon re Carlo a Francischiello ultimo e triste.
Picone sceglie una cifra oggettiva per narrare il buono e il pessimo di questa dinastia, triturando false sentenze, restituendo onore - alla generosita' del fondatore, alle conquiste urbanistiche e industriali, al valore dell'esercito di Gaeta - ma nello stesso tempo incalzando sull'illiberalita', e sulla vergognosa miseria diffusa a pochi metri dai luoghi del potere.
Altri vinti, i Borbone.
Come vinti furono, al di la' di effimere glorie, i talentosi illusi di spostare in avanti gli ondivaghi orologi cittadini. Francesco Cangiullo il futurista, ad esempio. O Matilde Serao la cronista. E i tanti altri profeti della famigerata creativita' napoletana. I migliori, certo, ma - ammoni' Elena Croce - «quell'estro non era sorretto da un impulso politico ed economico adeguato ai secolari problemi sociali». Quasi che, affondata nel passato e ansiosa di futuro - «Funiculi' funicula'» in salita verso la modernita' - eternamente Napoli abbia trascurato il tempo presente.

Cosi' belle parole di versi, canzoni e romanzi avvolgevano una realta' acre e assai poco poetica, operai senza lavoro, afrore di fondaci e bassi, bastimenti in partenza. A creare si mise anche la politica e vennero gli Uomini Qualunque. Gugliemo Giannini amico di Toto' e fondatore di un movimento acchiappavoti, sedotto e abbandonato dalla borghesia. Achille Lauro il Comandante, forse il piu' «napoletano» di tutti, populista e dissipatore involontario; i suoi furono gli anni della mani sulla citta', del «silenzio della ragione» che straziò Anna Maria Ortese. A molti Lauro fece pur bene ma, dopo i primi sette, si ritrovò un esercito di «puttani» pronti ad abbandonarlo.
In mezzo ai creativi si mischiavano dolenti interpreti della realta', il geniale Renato Caccioppoli, i giovani di «Sud» guidati da Pasquale Prunas, Manlio Rossi-Doria l'esploratore dell'osso del Mezzogiorno, Chinchino Compagna e gli altri ragazzi di «Nord e Sud», i romanzieri arrabbiati e generosi. Vinti, tutti. Chi avvertiva questa sconfitta con intollerabile solitario dolore o non voleva ammetterla, si tirava una pistolettata come Caccioppoli e Incoronato oppure partiva.

Piegati o impietriti perfino gli scugnizzi rimbalzanti - «resilienti» dice Marco Rossi-Doria maestro di strada nei secoli ritenuti capaci di resistere agli urti della grama vita. Attorno a loro non sono mancati gli sforzi generosi, non mancano, ma le quattro giornate di tanti scugnizzi sono oggi tedio e droga. «I bambini che ho visto nascere a 15 anni mi terrorizzano» dice Enzo Granata, impiegato del Comune e residente delle Vele. Questi scugnizzi raccontati da Peppe Lanzetta, il cantore del Bronx metropolitano, che propone una bussola per aggirarsi in questi meandri che non sono medioevo di ritorno, ma postmodernita' confusa e a tratti crudele. Un'altra chiave per capire, forse: le velocita' troppo diverse tra i «malamente» da riscattare e i buoni che intendono prodigamente farlo. Ciascuno ha difeso la propria identita' senza rispecchiarsi mai nell'altra, senza intrecciare le radici di cui parte della citta conserva assoluto bisogno.
E allora Napoli non è il paradiso, citazione di Antonella Cilento a chiudere il libro.

 


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