QUESTI ANNI (2002 - 2008). Napoli, La Campania, Il Mezzogiorno - Sergio LocoratoloAutore: Sergio Locoratolo
Curatore:
Titolo: Questi anni (2002 - 2008)
Sottotitolo: Napoli, La Campania, Il Mezzogiorno
Prefazione di Marco Demarco
Descrizione: Volume in formato 8° (cm 22 x 14); 184 pagine.
Luogo, Editore, data: Manduria (TA), Lacaita, 2008
Collana: 
ISBN: 9788889506608
Prezzo: Euro 10,00
Disponibilità: In commercio

 


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Sono ormai molti anni che Sergio Locoratolo collabora con le sue analisi e i suoi commenti al “Corriere del Mezzogiorno”, giornale che io dirigo e che Paolo Mieli volle per dare consistenza alla vaporosa “meridionalità” del “Corriere della Sera”. Nello scrivere queste note, mi accorgo solo ora, però, di averlo conosciuto in una occasione particolare, nel vivo, cioè, di una vicenda tanto importante da segnare radicalmente il mio modo, e credo non solo il mio, di “leggere” la Napoli degli ultimi anni. I lettori troveranno la vicenda di cui sto parlando tra qualche pagina, nel primo degli articoli raccolti in questo libro. Evito dunque di anticiparla. Mi limito però a ricordare che nella sua dimensione specifica riguarda l’Asia, l’azienda napoletana per lo smaltimento dei rifiuti, mentre nella sua dimensione simbolica, riguarda il modo stesso di intendere il riformismo oggi. E in una città di frontiera che di riformismo ha bisogno forse più di ogni altra. In quei giorni non felici per Napoli, dicevo, ho avuto la possibilità di distinguere i riformisti a parole dai riformisti di fatto. I primi si sono rivelati, in realtà, professionisti della politica senza grandi aspirazioni, incapaci di resistere alla tentazione del conservatorismo. I secondi sono invece emersi come protagonisti dalle nebbie di una borghesia a quel tempo fin troppo acquiescente nei confronti del potere locale.

In un Paese rinnovato dal bipolarismo, in una città non ancora invasa dal disincanto che si pavoneggiava per un “Rinascimento” rivelatosi effimero, e nel corso di una “rivoluzione dei sindaci e dei governatori” non del tutto fallita, quei riformisti a parole hanno lavorato perché si affermasse non la logica dell’efficienza e della produttività, ma quella contraria della clientela e del parassitismo. Insomma, hanno fatto sì che l’Asia assumesse a tempo indeterminato e al di fuori di un preciso piano aziendale, un consistente numero di lavoratori socialmente utili. Hanno fatto l’esatto opposto di ciò che avevano promesso quando, in polemica con il cosiddetto “partito unico della spesa pubblica”, quello di Gava, Pomicino, Di Donato e De Lorenzo, si sono presentati come gli innovatori. E hanno anticipato ciò che poi, in scala più grande, negli anni dell’emergenza rifiuti, è stato ripetuto nei consorzi di bacino; quei consorzi, per intenderci, dove gli addetti, per loro stessa ammissione, perdevano il tempo a giocare a tressette piuttosto che impegnarsi nella la raccolta differenziata. A ben vedere, fu allora che a Napoli si determinò la rottura definitiva dell’equilibrio tra pragmatismo e utopismo. Il centrosinistra si illuse di poter evitare ogni prudenza e di consolidare il proprio potere con una disinvolta politica del consenso.

Sergio Locoratolo era nel consiglio di amministrazione dell’Asia che si oppose a quelle assunzioni; in quel consiglio che, per ore e ore, fu letteralmente “sequestrato” dagli “Lsu” in agitazione, perché cedesse alle pressioni clientelari che respinse; che non ricevette alcuna solidarietà dalle istituzioni locali e che anzi fu punito con lo scioglimento e il mancato rinnovo. Un consiglio di amministrazione che una città distratta e povera di senso civico “liquidò” con altrettanto frettoloso cinismo.
Quando gli proposi di riflettere pubblicamente su quella vicenda, Locoratolo, con mia sorpresa, non si tirò indietro. Gli chiesi allora, ricevendone conferma, se il Locoratolo che nella seconda metà degli anni Settanta avevo conosciuto come fattivo assessore di Maurizio Valenzi, allora sindaco di Napoli, fosse suo parente. Era lo zio: figura di spicco del socialismo napoletano e meridionale, diretto nelle polemiche, franco di cerimonie con noi giornalisti. Diverso nel carattere, più schivo e riflessivo, Sergio Locoratolo ha tenuto viva quella tradizione politica familiare, aggiungendovi però massicce dosi di modernità e di spirito critico. E spingendo la sua riflessione fin dentro il “liberalismo” di sinistra, quello di Salvati, Alesina e Giavazzi, per intenderci. I suoi articoli, inoltre, si sono subito imposti all’attenzione dei lettori per assoluta mancanza di pregiudizi, per apertura di credito nei confronti delle tesi del centrodestra e per una non comune capacità propositiva. Un esempio per tutti: Locoratolo è stato il primo a suggerire alla sindaca Iervolino di chiedere i poteri speciali per la mobilità e il traffico, così come avevano gia fatto Moratti a Milano e Veltroni a Roma. Prima ignorata, anzi registrata quasi con distaccata insofferenza, la sua proposta è stata poi precipitosamente accolta. Ma più per evidente necessità che per convinzione.
L’amministrazione comunale l’ha poi fatta sua, ma ne ha mortificato le potenzialità nel quadro di una inconcludente strategia di intervento. E sta di fatto che, più in generale, neanche una brezzolina di liberalismo abbia rinfrescato l’iniziativa amministrativa regionale di questi anni. I riformisti a parole hanno costretto i riformisti di fatto a navigare sempre contro corrente, e così facendo hanno inevitabilmente condotto Napoli e la Campania in una delle crisi più acute della propria storia.
Tanto acute da allarmare oltre ogni misura cittadini illustri come il presidente Napolitano e da richiedere le straordinarie veglie di preghiera del Cardinale Sepe.
Le tesi di Locoratolo, così come quelle di gran parte degli editorialisti del “Corriere del Mezzogiorno”, sono state un continuo richiamo alla consapevolezza pubblica; una sollecitazione civile e appassionata per una inversione di rotta, che però non è arrivata nei tempi sperati. Altrove, si pensi a Barcellona o all’Irlanda, la cultura dello statalismo assistenziale e della rassegnata predestinazione alla decadenza si è trasformata in un vitale spirito amministrativo e imprenditoriale. A Napoli e in Campania, se ciò talvolta è accaduto, ha costituito in ogni caso l’eccezione e non la regola.
Marco Demarco

 


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